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San Giuseppe ‘siddiatu’

SAN GIUSEPPI SIDDIATU
alcune tipologie di voto al Santo Patriarca
di Angelo Cucco

San Giuseppe è una delle figure più care alla devozione popolare siciliana e sono tante le feste che si celebrano in suo onore, molte delle quali, si scindono in due parti distinte ma complementari: una strettamente legata alla Chiesa (con processioni, solenni liturgie ecc.) e una marcatamente più popolare che prevede l’impegno del devoto nella realizzazione di tavole riccamente imbandite, fuochi rituali ed altre macchine festive. Ci occuperemo principalmente di questa seconda modalità di festa cercando di riassumere un argomento molto complesso e vario.

IL VOTO
Alla base di queste realizzazioni festive sta di solito un voto contratto da un singolo o una famiglia. Questo voto è vincolante e deve essere necessariamente sciolto, il Patriarca infatti è benevolo con i suoi devoti ma esige quanto promesso. Molti racconti di voti mancati per dimenticanza mettono in guardia dal promettere un altare, offerte di cibo, la tavula e poi non curarsene. Comune è, ad esempio, quello secondo cui l’immagine di San Giuseppe offeso (affunciatu) o triste (siddiatu) sia apparsa sul fondo del tegame a chi aveva dimenticato di assolvere al voto. Altrettanto comuni sono i racconti di sogni o “apparizioni” in cui il Santo redarguisce il devoto anche bastonandolo.
Il voto dunque come principio di un legame, la promessa, il patto con u Patri a Pruvidenza, nella consapevolezza che, quanto donato, ritornerà e che in ogni bisogno presente e futuro il Santo non abbandonerà i propri devoti: “Nta lu bisognu e nta nicissità San Giusepppi n’aiutirà!” “comu purtasti a Maria in Egittu, aiutatini nto bisognu strittu!
E’ bene ricordare che, oltre alle modalità di voto che andremo ad analizzare, ne esistono altre non meno importanti e diffuse: l’offerta di denaro, l’offerta di ex-voto o gioielli, l’offerta di candele, il seguire la processione a piedi scalzi, l’indossare un abito particolare (detto vutu).

OFFERTE ALIMENTARI
Il voto più comune è sicuramente l’offerta di cibo. Si offre cibo ai cantori che cantano in giro la novena o le parti di San Giuseppe, si può offrire del pane benedetto a chi ne fa richiesta, si può collaborare con offerte alimentari all’allestimento di un altare oppure, e questo è l’uso più diffuso, si può allestire un pranzo (solitamente giorno 19 ma non obbligatoriamente) per un certo numero di persone o bambini bisognosi. Le varie denominazioni assunte da queste figure – i Santi, i viriginiddi, la sacra famiglia, apuostuli ecc.- denunziano l’alterità della loro posizione: In quel momento, a pranzo, si recano figure sacre. Non a caso, a volte , indossano abiti particolari e si rievoca la fuga in Egitto con la reiterata richiesta di ospitalità. Il pranzo dei Santi ha una struttura precisa e prevede momenti rituali di grande intensità emotiva.

Per sciogliere questo voto, che spesso comporta la necessità di ingenti risorse, il devoto compie delle questue (tavula addimannata) e si fa aiutare da un gran numero di amici, vicini di casa e parenti. Nessuno nega il proprio contributo, perché a San Giuseppe non si dice mai di no!. Tutto il lavoro che si svolge è detto “u traficu di San Giuseppi” . All’aspetto caritativo che connota la festa si affianca anche un aspetto sociale di rinsaldamento dei legami, di fare comunità.
Aiuto maggiore serve nei casi in cui si contrae voto a tavula aperta ossia senza un numero prefissato di invitati: chiunque arriva deve essere servito.
Nei casi in cui invece il numero è fisso, l’ingresso delle pietanze nella stanza in cui si consuma il pranzo è spesso segnalato da scoppi di mortaretti e invocazioni gridate di “Evviva u Patriarca San Giuseppi”.
A Palermo, per strada, si allestiscono delle grandi tavolate che accolgono i bisognosi e in cui viene offerto un pranzo completo.
In genere è interdetto l’uso della carne perché San Giuseppe cade sempre in periodo quaresimale.

ALTARI, TAVULE, CENE, MENSE.
All’offerta alimentare si accompagna spesso la costruzione di sontuosi apparati domestici che recano alla sommità l’immagine del Santo e assumono vari nomi nei diversi paesi – tavule, altari, mense, cene ecc.- ed anche diversa struttura. Il principio è tuttavia comune: mettere in mostra la prosperità e il rigoglio naturale in onore di San Giuseppe. Non a caso infatti la festività cade a ridosso dell’equinozio di Primavera e segna un forte momento vitalistico e di confine, di rinascita e di richiesta di prosperità. Per comodità espositiva, quando generalizziamo, useremo il termine altari.
I cibi esposti su questi altari (sia cotti che crudi) possono variare, ma lo schema è sempre quello di una questua iniziale e una redistribuzione ai bisognosi. Immancabili sono comunque il pane, le arance -con il loro significato cosmogonico- e le primizie (gli stessi alimenti trovano spazio anche sui fercoli processionali). Il pane, alimento per eccellenza della tavola, si plasma con le più varie forme che vanno dall’universo naturale, a simboli della sacra famiglia, a parti del corpo del Santo (barba, mano, faccia), agli strumenti del lavoro (che ricordano anche quelli della passione), a simboli cristiani (croci, ostensori, calici) e cosmici (la spirale).
Famosi sono gli artistici pani di Salemi con cui si ricoprono enormi altari detti Cene. Ma altrettanto particolari sono, ad esempio, i pani di Salaparuta e Poggioreale riccamente intagliati su una base di marmellata di fichi (squartucciati). Anche a Palermo è uso fare pani dalla forma particolare per allestire gli altarini, mentre un pane particolare con i pizzi è detto di San Giuseppe.
Alimenti crudi (soprattutto vegetali) figurano in tutte le espressioni votive di Sicilia come a Giarratana, Corleone, Santa Caterina Villarmosa, Prizzi, Montemaggiore, Montelepre, Niscemi, Terrasini ecc. e, gradualmente, si sta diffondendo l’uso di inserire, in apposite stanze, offerte alimentari a lunga conservazione.
Sugli altari votivi, che si aprono solitamente il 18 sera e vengono visitati con ammirazione e devozione, possono trovare posto anche uno straordinario numero di pietanze cotte e dolci. A Borgetto (dove gli altari sono detti Mense), Partinico, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Leonforte vige la regola dell’abbondanza e sulla tavola si dispone di tutto, anche olio, vino, acqua ecc. A a Poggioreale e Salaparuta fanno bella mostra tantissimi tipi di dolci, e, nel secondo comune la cura della simmetria è millimetrica.
Negli altari di San Giuseppe possono prendere posto anche piantine di grano germinato decorate con caramelle e confetti (come a Castelbuono, Salemi, Niscemi) prefigurazioni di un’abbondanza che deve ancora arrivare.
Non mancano i sempre verdi (alloro, erbe aromatiche, palme), palese richiamo vitalistico.
Tutto ciò che è presente su queste strutture verrà re-distribuito ai bisognosi secondo varie formule.
Il luogo dove è allestito l’altare diviene sacro. Chi entra non deve chiedere permesso ma salutare il Santo con un segno di croce o, come a Terrasini, acclamando “Evviva u Patriarca San Giuseppi” a cui si risponde con un triplice “Evviva”

VASTUNI, CANNISTRU E STRAULA
In onore a San Giuseppe si costruiscono anche vere macchine festive.
Un esempio è costituito dal Vastuni di Villabate, una struttura a stendardo-albero ricoperta di fiori, frutta e offerte votive che è condotto in processione per le strade del centro abitato e le cui soste sono festeggiate con offerte di cibo e vino, sparo di mortaretti e momenti di convivialità.
I Cannistri, preparati a Sant’Angelo Muxaro e a San Biagio Platani, sono strutture (solitamente 3) a tempietto riccamente ornate di frutta e fiori al cui interno è custodito il pane votivo. I Cannistri sono posti su piccoli fercoli e portati in processione prima del pranzo dei Santi.
A Straula di Ribera è invece una macchina festiva costruita in alloro e ricoperta di pani votivi. Sul prospetto, simile ad una edicola votiva, è incastonata l’immagine del Santo e trova posto anche l’agnello pasquale. Questa interessante struttura è posta su un carretto e portata in processione -durante la cavalcata dell’alloro- la Domenica precedente la festa.

FUOCHI RITUALI
La sera del 18 è comune in tanti paesi accendere grandi falò in onore di San Giuseppe. Questi fuochi, detti anche vampe o luminarie, sono interpretati in vario modo. Alcuni sostengono servano a riscaldare il passaggio della sacra Famiglia in fuga, altri li interpretano come omaggio al Santo, altri ancora come modo gioioso di vivere la vigilia.
In realtà sono fuochi rituali che segano un momento liminare nel ciclo dell’anno, non dimentichiamo infatti che ci troviamo a pochi giorni dall’equinozio! Il fuoco ha inoltre valore purificatore e sacrale, e trattandosi di un fuoco vigiliare mette in mostra tutte queste qualità.
Tramite il fuoco, comunque, si può offrire al Santo: è il caso degli oggetti nuovi o utilizzabili che vengono accatastati insieme al resto della legna. Le vampe, a volte ancora organizzate da ragazzini, possono assumere anche grandi proporzioni. In molti casi era tollerato anche qualche furtarello rituale di legna o materiale da ardere. Anche a Palermo, nonostante diverse interdizioni e in piena città, si accendono numerose vampe con grande partecipazione popolare.

CAVALCATE
Ultima manifestazione di devozione semi-privata (ad oggi spesso organizzata da enti o associazioni) è costituita dalle cavalcate in onore di San Giuseppe.
Un esempio è la retina di Caccamo che ha le caratteristiche di offerta e questa.
Particolare è invece la cavalcata che si svolge a Scicli il sabato seguente la festa del Santo. Oltre ai cavalli bardati in maniera tradizionale, sfilano dei cavalli coperti da grandi manti artisticamente infiorati con ghirigori, disegni e immagini della sacra famiglia.
Cavalcate si fanno anche a Ribera, Cianciana e Valguarnera.
Le cavalcate sembrano uscire fuori dallo schema del voto, un tempo tuttavia anche questo poteva rientrare nel meccanismo votivo: qualora la grazia fosse stata concessa si sarebbe decorato l’animale e partecipato alla cavalcata portando doni al Santo o si sarebbe questuato a cavallo in suo onore.

Vorrei concludere questo breve testo citando una quartina tratta dal “tistamentu di San Giuseppi” che si canta a Castelbuono. In questo testo, che narra appunto le ultime volontà di San Giuseppe, è lo stesso Santo ad indicare sia le modalità di voto gradite (la tavulata) che le figure da privilegiare per le offerte alimentari (orfani, vedove e bambini poveri):

“e vi lassu l’orfaneddri
i cattivi e i virgineddri
Sempri sia pi iddri cunsata
A mia gloria na tavulata!”

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