Sette chilometri di scaffalature lignee ricoperte da volumi: l’Archivio Storico Comunale di Palermo è un tempio laico della cultura che, tra soffitti a cassettoni, imponenti pilastri ottagonali, scale a chiocciola e decorazioni in ferro battuto,consente di ricostruire buona parte della storia della città.
Si trova all’interno dell’antico quartiere ebraico, nei locali dell’ex convento agostiniano annesso alla chiesa di S. Nicolò da Tolentino, in via Maqueda 157
di Angela Salta Formaggio (Guida Turistica di Palermo)
In fondo all’articolo, la galleria di foto dell\\\’Archivio Storico Comunale, di Vincenzo Russo
È facile lasciarsi andare alla tentazione di pensare che un archivio storico sia un luogo noioso e polveroso, in cui non ci sia nulla di bello da vedere e in cui si vada solo per consultare documenti, quindi solo in caso di (co)stretta necessità. Ma vi assicuro che quello comunale di Palermo vale una visita.
Interessante la sua storia, prezioso il suo contenuto, e soprattutto, se siete a caccia di elementi superstiti dell’antico quartiere ebraico palermitano, questo è il luogo che fa per voi.
L’Archivio storico comunale di Palermo ricade all’interno di quella che era la Meschita che, insieme con la Guzzetta, costituiva una delle contrade della Giudecca palermitana, ovvero del quartiere ebraico cittadino. A seguito dell’espulsione degli ebrei, avvenuta nel 1492, alcune proprietà di questa zona furono acquistate da una nobile donna e utilizzate per l’edificazione di un convento per l’Ordine delle Clarisse. Tale monastero fu poi soppresso e sul finire del 1500 fu ceduto ai Padri Agostiniani.
Oggi l’Archivio Storico comunale di Palermo si trova ospitato proprio all’interno di quello che fu il convento agostiniano annesso alla chiesa di S. Nicolò da Tolentino, ancora oggi fruibile
7 km di scaffalature lignee ricoperte da volumi
È una struttura che raccoglie al proprio interno tutta la documentazione prodotta dagli organi del governo cittadino attraverso i secoli, in una collezione organica e divisa in sezioni specifiche che va dalla fine del XIII secolo fino alla metà del ‘900. Si tratta di ben 7 km di scaffalature lignee ricoperte da volumi, per lo più manoscritti, che consentono di ricostruire buona parte della storia della città. Una storia non scritta dagli storici dunque, ma l’autentica storia raccontata direttamente dalle fonti.
Fino al periodo post unitario tale documentazione di proprietà comunale si trovava distribuita in diversi luoghi, tra il Palazzo Pretorio e alcuni monasteri per i quali il comune pagava un canone di custodia. Nel 1866, a seguito della Legge Eversiva dell’asse ecclesiastico, la maggior parte dei conventi rimase vuota e priva di custodia. Il comune allora si ritrovò dinanzi a un problema e ad una possibilità favorevole al tempo stesso: rischiava la dispersione del proprio materiale, ma aveva anche a disposizione nuovi spazi liberi per poterla concentrare in modo unitario. Ecco che nacque l’attuale Archivio storico comunale di Palermo.
Il primo direttore fu Pollaci Nuccio. Egli, appena ventunenne, adattandosi a quelli che erano gli spazi dell’ex convento, diede inizio alla sistemazione di questa imponente massa di testi. Ben presto però si ritrovò a fare i conti con il problema della carenza di spazio. Fu per questo motivo che nel 1885 si inaugurava il fiore all’occhiello dell’Archivio storico comunale: la nuovissima Sala Almeyda, realizzata dall’allora celebre architetto Giuseppe Damiani Almeyda, già progettista del Teatro Politeama.
La Sala Almeyda
La sala, concepita per il suo scopo, è un raro esempio di ‘ingegneria per archivi’ di fine ‘800, e appare munita di vari dettagli funzionali: dagli oblò che costituiscono un sistema di areazione, ai ballatoi muniti di leggii per la consultazione dei testi, ai cestelli in legno che, collegati a corde e argani, permettono di portare i documenti selezionati al pian terreno con il minimo sforzo. Estrema funzionalità dunque, ma che strizza anche l’occhio all’estetica, tra soffitti a cassettoni, imponenti pilastri ottagonali, scale a chiocciola lignee e decorazioni in ferro battuto, in quello che può considerarsi un “tempio laico della cultura”.
Questo senso di sacralità non è casuale. Tra le proprietà dell’antica contrada Mesquita cedute in seguito all’espulsione ebraica vi era infatti la principale e più importante sinagoga di Palermo. Purtroppo di essa non rimane più nulla, come quasi nessun altro
elemento architettonico della Giudecca, a parte una dettagliata descrizione fatta da un certo Obadia da Bertinoro, dotto rabbino in visita in città. Egli descrive un luogo molto gradevole, dotato di cortiletto esterno, e menziona addirittura le dimensioni di codesta sinagoga: un
quadrato grande 40 cubiti per lato, dimensioni che corrispondono perfettamente a quelle della Sala Almeyda…
Ironia della sorte, tra i documenti più preziosi che l’Archivio storico possiede c’è anche l’editto di espulsione degli ebrei dalla Sicilia. Nel 1492, attraverso quello che è passato alla storia come l’Editto di Granada, il re Ferdinando d’Aragona, detto il Cattolico, e la regina Isabella di Castiglia obbligarono tutti i territori a loro sottoposti all’espulsione degli ebrei non convertiti, quindi anche la Sicilia, che con tale atto, in bella mostra all’interno di una delle teche dell’Archivio, recepirono e attuarono una così tanto triste decisione.
L\\\’Archivio Storico Comunale può essere visitatodurante il nostro itinerario turistico a Palermo:
PALERMO EBRAICA
La galleria di foto dell\\\’Archivio Storico Comunale, di Vincenzo Russo