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Tra fiamme e telai: la devozione a Sant’Agata


Tra le Sante siciliane più note vi è Agata, sia per la sua storia che per la grande festa che le tributa Catania, di cui è Patrona, nei giorni dal 3 al 5 febbraio.  La Festa di Sant’Agata è un bene etno-antropologico Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

di Angelo Cucco

La devozione alla Santa martire anche fuori dalle mura di Catania, ma anche la “Agata” del popolo: una figura molto particolare e che un po’ si discosta dalla rappresentazione classica.
La Sant’Agata che racconteremo è di percezione e non di alta teologica, un volto diverso fin troppo umanizzato, una Sant’Agata che partecipa alla vita quotidiana, marcatamente popolare e siciliana.

 

 

 
 
 
 
 
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La vita e le Reliquie

Andiamo con ordine, tracciamone intanto un profilo agiografico secondo le fonti ufficiali:
Agata nacque, nel III secolo d. C., da una famiglia cristiana e intorno ai 15 anni si consacrò a Dio con l’imposizione, da parte del vescovo, del velo rosso (simbolo antico delle vergini di Cristo), secondo alcune tradizioni divenne addirittura diaconessa. Di lei però si innamorò Quinziano, proconsole di Catania, che in tutti i modi cercò di convincerla ad abbandonare la Fede in Cristo: dopo le lusinghe passò alle tante torture, tra le quali la più celebre è lo strappo o taglio del seno. Sanata dalle ferite mentre si trovava in carcere (per opera di San Pietro apparso insieme ad un angelo) fu infine arsa viva. Mentre Agata bruciava un violento terremoto sconvolse i catanesi che cominciarono a protestare e ad attribuire il sisma all’esecuzione in corso.
Quinziano fece riportare Agata, agonizzante, in carcere dove morì. Illeso rimase il velo della consacrazione che, subito, divenne una reliquia. Era il 5 febbraio 252. L’anno successivo, il giorno stesso della morte di Agata, una violenta eruzione spinse i catanesi a portare in processione il velo-reliquia e la lava si arrestò. La devozione ad Agata fu subito fervida tra le comunità cristiane e ne abbiamo testimonianza anche dalla vita di Santa Lucia che si reca in pellegrinaggio al sepolcro della martire per chiedere la guarigione della madre. L’incontro è suggellato da una visione in cui Agata svela il suo futuro a Lucia con l’emblematica frase “ed io ti dico che come grazie a me è sublimata la città di Catania, così per te avrà decoro dal Signore Gesù Cristo la città di Siracusa”.
Le reliquie della santa furono trafugate da Giorgio Maniace nel 1040 e portate a Costantinopoli. Solo nell’agosto del 1126 tornarono in Sicilia ad opera del provenzale Gilberto ed il pugliese Goselmo, e da questa occasione traggono origine le feste agatine di Agosto.

La diatriba sulla città natale

Ho volutamente evitato di indicare la città natale di Sant’Agata perché ha opposto per secoli (ed ancora oppone) più opinioni divergenti. Sebbene la corrente maggioritaria sostenga che fosse catanese, i palermitani la rivendicano come concittadina. La contesa assunse proporzioni incredibili e arrivò a coinvolgere grandi studiosi e testi provenienti dalle più disparate biblioteche, nel 1601 fu lo stesso Papa Clemente VIII a presiedere il dibattito che si concluse con l’impossibilità di una sicurezza. L’appassionato dibattito continuò, tra due città che l’avevano, per altro, innalzata a Patrona. Da qui le divergenze sulla storia della Santa: nata a Palermo (alla Guilla) e scappata a Catania o nata a Catania e scappata a Palermo dove fu poi catturata e riportata a Catania? Se Palermo vanta la casa natale e l’impronta su uno scoglio, Catania vanta altre impronte e una possibile domus a Galermo. Morì comunque a Catania, su questo tutti siamo d’accordo.
Entrambe le città si coprirono di chiese agatine e la devozione era molto diffusa nel popolo.
I palermitani però rivendicano “ Sant’Aghita palermitana vai malatu e ti sana!”.

Leggi anche: Le straordinarie immagini della Festa di Sant’Agata a Catania

Sant’Agata vendicatrice

Una Santa tanto contesa non poteva che avere caratteri battaglieri e il popolo siciliano l’ha sempre indicata come dolce e compassionevole ma anche come temibile e vendicatrice. Due gli episodi famosi:
Il primo è ovviamente riconducibile all’eruzione nell’anniversario della morte di cui abbiamo detto e allo stesso terremoto durante l’esecuzione.
Il secondo risale al 1232. Dopo la ribellione di alcune città siciliane, Federico II aveva deciso di radere al suolo Catania e ucciderne gli abitanti. Durante l’ultima messa in Cattedrale (secondo altre versioni all’arrivo in città) apparve miracolosamente su ogni pagina del suo breviario l’acronimo “N.O.P.A.Q.U.I.E” che sta per “Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniuriarum est” (Non offendere la Patria di Agata perché è vendicatrice di ogni offesa). Il sovrano rimase turbato dall’evento e fermò l’esecuzione imponendo, come unico atto di sottomissione, il passaggio dei cittadini sotto un ponte di spade. Se la Santa si definì, pubblicamente, vendicatrice, cosa doveva impedire al popolo di vederla in questa veste? Così proliferano i racconti di voti mancati e tirate d’orecchio della Santa: con sogni, apparizioni o anche ritorno del malanno. Se si promette a Sant’Agata bisogna, in ogni modo, assolvere il voto!
Non a caso la Santa è invocata nelle preghiere di protezione contro chi cospira o chi tradisce. Ecco un esempio di preghiera raccolta nel quartiere Ballarò a Palermo: “ Sant’Aghituzza m’aviti aiutari! C’è chi mi voli beni e chi mi voli mali! Pi chi mi voli beni mannatici rosi e ciuri, pi chi mi voli mali mannatici a Nostru Signuri!” dove il mandare Nostro Signore non vuole, sicuramente, essere un invito alla conversione o un augurio di prosperità ma una chiara richiesta di protezione/difesa.
E ancora si rileva a Cefalù “Sant’Agata santa potenti, iu un vidu nuddu vui tutti li genti! Contru di me qualcunu pigghialu e mettilu ad agnunu!”.
Ve ne sono di altre, ma mi soffermerò solo su una formula usata nel caso vi fosse il dubbio di un tradimento: “(…) chiamu tri Santi tistimuni, Sant’Ata (o Aita), San Giuvanni e San Simuni1! Si c’è traficu lu sapiti, si c’è cosa la viditi, si c’è sbagliu lu sciugliti, San Giuvanni scunzati, San Simuni svirugnati, Sant’Aita rispusta dati!”. Il tradimento su cui si indagava era solitamente amoroso ma poteva anche essere di altro genere. Alla formula rituale (che doveva dirsi tre volte al giorno per nove giorni e si completava con alcuni segni di croce), si attribuiva la capacità di sciogliere ogni dubbio, da notare è comunque il ruolo vendicativo di Sant’Agata: rispusta dati è da intendere proprio come “vendicatemi” in correlazione con le azioni degli altri due santi di “scunzari” (far finire il tradimento) e “svirugnari” (svergognare, portare alla luce del sole).
Non so se è da ritenere un caso se, a San Giorgio Monforte, la festa di Sant’Agata è connessa ad un particolare concerto di campane e tamburo che simboleggia la guerra per la liberazione della Sicilia dai musulmani.

Immagini della Festa di San Agata che si svolge a Catania, di Vincenzo Russo:

Fuoco e lava

Ritorniamo alla prima “vendetta” di Sant’Agata: la lava. Proprio grazie al miracolo del velo (che si salva dal fuoco e ferma la lava), è ritenuta patrona contro le eruzioni vulcaniche, gli incendi e in certa misura contro i terremoti (per via del terremoto alla sua morte). Le processioni per bloccare la lava, lo spostamento di oggetto-protettore dall’elefante (Liotru) al velo e le preghiere contro le calamità sono solo una parte del legame tra Agata e il fuoco. Come possiamo interpretare, se non come un rito del fuoco, il fiume di torce che precede il fercolo in processione a Catania? A Sant’Agata non si promettono solo fiori o soldi: Si promette fuoco! Si promette di processionarlo o di consentire che sia acceso (il dono delle candele), si promette che illumini, che si consumi…
Nel cuore dell’inverno, nel periodo delle feste ricche di fuochi rituali, a Catania non solo si accendono fuochi…ma vengono trasportati. Se il fuoco ha un significato purificatorio, se ha la capacità di rischiarare le vigilie, di portare prosperità e rinvigorire il Creato, un fuoco che si muove è reso ancora più attivo. É lo stesso fuoco delle grandi torce (alcune pesantissime e trasportate a stento) e lo sforzo offerto dai devoti a sacralizzare i luoghi, a benedire, a rendere nuova Catania.
Il passaggio di Sant’Agata, circondata di luce e candele sancisce ciò che il fuoco ha iniziato: è Lei, maestosa e lenta nel suo fercolo argenteo, che santifica con la sua presenza, che rinnova crea il sacro ed il cosmos, le grandi torce e le candelore sono una propaggine della Sua luce, delle Sue candele, la precedono a distanza ma, idealmente, non sono staccate dal fercolo di cui amplificano il raggio: l’intera processione porta Luce.
Una festa vitalistica dunque che si esprime tanto nel fuoco quanto nel ballo delle candelore (oggi non ballano più in processione ma nei giorni precedenti) a cui, per altro, si appendevano prodotti della terra o del mare come offerta votiva.
Sant’Agata, santa invernale, offre il barlume della rinascita. Anche i fuochi d’artificio, oggi motivo di spettacolo, avevano un tempo carattere apotropaico: il loro rumore, legato alla potenza del fuoco, scacciava il male. È il fuoco, che spesso divampa nei racconti dei miracoli, una delle calamità da cui la Santa trae salvi i propri devoti.

Sant’Agata “Cariera”

Con il fuoco Agata sa anche colpire quelle ricamatrici o tessitrici che nel suo giorno lavorano. Guai infatti a toccare il telaio durante la festa della martire! Ella che, secondo la leggenda, fu una bravissima “cariera”(tessitrice)2 ne avrebbe a male.
In grande considerazione tenevano questo giorno le tessitrici palermitane che si recavano in pellegrinaggio presso le chiese dedicate alla Santa (una delle quali, sita in via Castro, aveva proprio nome di Sant’Agata de’ carieri) soprattutto presso Sant’Agata la Pedata (un tempo fuori le mura) dove si conservava la reliquia che dà il nome alla chiesa ( la “pedata” appunto) e da dove, ad anni alterni, partiva la processione. Un uso abbastanza particolare era l’acquisto delle pastinache per devozione. Comprare vegetali (per altro radici) doveva avere un profondo senso di prosperità se, presso il popolo, era motteggiato con allusioni sessuali.
Ma torniamo all’idea di Sant’Agata tessitrice: non è esclusiva di Palermo. In molti paesi è invocata insieme a Sant’Anna (detta “la prima cariera”) iniziando il lavoro al telaio e ad Alì (ME) è addirittura rappresentata come una tessitrice. Durante la festa grande, che si svolge ogni dieci anni in agosto, vengono costruiti due imponenti strutture detti “cilii”, uno ricoperto di pani (cilio del pane) e uno ricoperto di gioielli ottenuti tramite questua e che torneranno ai proprietari (cilio dell’oro). Non mi soffermerò sugli aspetti legati alla richiesta di prosperità e ai richiami vitalistici, ma sul fatto che all’interno del cilio dell’oro prendono posto due bambine (non a caso!!) che interpretano Sant’Agata (che tesse) e Santa Caterina (che le passa le spole).

Protettrice del seno

Altro patronato che il popolo assegna, e per ovvi motivi, a Sant’Agata è sulle malattie del seno e di conseguenza sui problemi di latte. Lei che ebbe sanato il seno strappato dai carnefici, è anche colei che può guarirlo. A Palermo esisteva una chiesa presso cui si raccoglievano, in numero esorbitante, ex-voto in forma di mammella e da questi prendeva il nome di Sant’Agata alle scorruje. Secondo Gaspare Palermo, in detta chiesa era presente un pozzo la cui acqua, nel giorno della festa, sapeva di latte. E per il latte le donne di Sicilia la invocavano, spesso usando immaginette da applicare sul seno. Anche per alcune malattie dell’apparato mammario degli animali si invocava Sant’Agata, soprattutto nelle Madonie dove era la protettrice contro “a minnazza”. Forse dalla forma simile a mammella deriva la protezione di Sant’Agata sulle campane e chi le costruisce.
Sia a Catania che a Palermo esistono particolari dolci una volta detti minnuzzi di Sant’Ajta che, a dispetto della diversa ricetta, tendono a sottolineare l’attributo iconografico agatino. Una sorta di sineddoche dolciaria sulla stessa linea dei “San Cuosimu” (che si mangiano per i Santi Medici), delle “ossa ri muortu” o della “barba” (in uso per San Giovanni e San Giuseppe).
Legato sempre alla tradizione è un altro dolce di mandorle che si prepara a Catania “l’aliveddi”. Si raccontano due leggende in proposito: la prima dice che, fuggendo dai soldati, Sant’Agata si fermò per legarsi un calzare e nacque un ulivo per nasconderla, la seconda vuole che l’ulivo nacque mentre Agata era portata alla fornace e fu tenuto in gran considerazione dai Catanesi che ne reputavano miracolosi i frutti.

Abbiamo iniziato con una Santa vendicatrice per concludere con il ricordo “dolcificato”. Sant’Agata è un po’ tutto questo (e molto di più),Non è soltanto l’eroina della Fede ma anche una figura pensata e ripensata dal popolo siciliano, nella sua devozione e nel suo straordinario modo di elaborarla e dimostrarla.

______
1 Abbastanza diffusa nelle Madonie, a volte cambiano i Santi chiamati a testimoni ma Sant’Agata è quasi sempre presente (eccetto ad Isnello dove i testimoni sono Santa Nicola, San Biagiu e Simuni)
2 Secondo una delle leggende Agata è assimilata alla greca Penelope ed usa lo stesso stratagemma per non sposarsi

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