Aprendo il sipario si aprono vie che raccontano arti di antiche popolazioni passate, cibi che mostrano un\\\’autentica ricchezza umana, ricche decorazioni realizzate grazie alle maestranze di provenienza tunisina, quinte architettoniche dell\\\’art nouveau.
Laddove vi era una moschea sorge una cattedrale fortezza, dove vi erano i giardini i re si inebriavano dei profumi d\\\’oriente.
Dal tiraz di Palazzo dei Normanni uscivano tessuti di ineguagliabile bellezza, vi si giungeva dal Cassaro (da al Qasr, castello), e le chiese imponenti dei vicerè spagnoli si alternano alle parole che ci trasmettono ancora oggi i passati fasti degli spagnoli, degli ebrei e dei francesi.
Roberto Alajmo, descrive Palermo come una cipolla, in effetti, nessun\\\’altra definizione restituisce sinteticamente e immediatamente quell\\\’immensa storia che nei secoli ha affascinato i viaggiatori, inorgoglito artisti, stupito i fedeli e che, tutt\\\’ora non può essere classificata nelle categorie delle letteratura artistica, proprio per la sua convivenza, passata e attuale, di stratificazioni millenarie.
I bambini, oggi, corrono nelle piazze che furono volute dalla rivoluzione urbanistica barocca di un viceré spagnolo, dopo pochi passi, i colori e gli odori che mordono le narici dei mercati storici ti immergono nei suk colmi di voci e ritrovi nuovamente il sole al di fuori delle mura, dove Léon Dufourny realizzò il meraviglioso orto botanico o alla Favorita, tra i saloni cinesi voluti dai Borboni.
Un teatro dove geometria, colori, strade e i volti stessi dei palermitani, narrano la bellezza che non si può cancellare, dove l\\\’unica geografia che si può analizzare è la somma di un mondo che vive in un\\\’unica città.
Riproponiamo di seguito, tre testi che sinteticamente provano a descrivere una città immensa, impossibile da definire univocamente, seducente e \\\”piena di contraddizioni\\\” – come spesso viene definita – poiché tante sono le sue estreme caratteristiche.
Crocevia mediterraneo di culture
Capoluogo della Sicilia, Palermo sorge in una baia ai margini occidentali della Conca d’Oro. Celebrata da Goethe, il grande poeta tedesco innamorato della «terra dove fioriscono i limoni», la città trae fascino e prestigio da una storia ricchissima e gloriosa, che la vide centro di quella feconda e originale fusione di culture – greco-bizantina, araba e latina – che è la caratteristica peculiare di tutta l’isola.
Dalle origini alla dominazione araba
Furono i Fenici a fondare la città, battezzandola Ziz, che in punico significa «fiore», mentre i naviganti greci la rinominarono Pànormos, «tutto porto». La città fu una potente roccaforte cartaginese, che Pirro, re dell’Epiro, riuscì a espugnare e a conservare per breve tempo nel 276 a.C. Nel 254-53, nel corso della Prima guerra punica, Palermo fu conquistata dai Romani che vinsero la strenua resistenza dei cittadini asserragliati nella rocca. Tre anni dopo, nel 250, il generale cartaginese Asdrubale cercò di riconquistarla, ma senza successo, e analoga sorte ebbe poco tempo dopo Amilcare Barca, il padre di Annibale.
Palermo, che aveva cominciato a subire l’influsso greco già a partire dal 5° secolo a.C., ebbe una rigogliosa fioritura sotto la dominazione romana, quando fu prima dichiarata città libera e poi, sotto Ottaviano Augusto, colonia. Assediata e conquistata nel 535 dal generale bizantino Belisario che la strappò ai Goti, Palermo andò quasi completamente in rovina ma risorse sotto la plurisecolare dominazione bizantina, che ne plasmò le istituzioni politiche e amministrative. Nell’831, dopo circa un anno di assedio, la città fu travolta dall’irresistibile avanzata musulmana nell’isola.
Della Sicilia araba Palermo fu il principale centro militare e amministrativo: nel 948, quando gli emiri dell’isola acquistarono la piena indipendenza, divenne la capitale di uno Stato tra i più fiorenti dell’epoca. Con più di 200.000 abitanti, soprattutto mercanti arabi, Palermo gareggiava in ricchezza e splendore con le più prestigiose città del mondo musulmano e fu celebrata da poeti e viaggiatori per la lussureggiante bellezza dei suoi giardini, la grande moschea Giami, il gigantesco palazzo dell’emiro e la possente fortezza costruita nel 938 per difendere il porto. La città resistette a lungo agli assalti dei Normanni venuti a conquistare la Sicilia, ma dopo oltre cinque anni di assedio navale e terrestre, nel 1072, dovette capitolare.
Normanni e Svevi
I Normanni cercarono di conferire nuovamente a Palermo il volto di una città cristiana, demolendo gli edifici arabi. Tuttavia l’intelligente tolleranza dei sovrani normanni assicurò la pacifica e feconda coesistenza delle tre principali componenti della popolazione, quella araba, quella greco-bizantina e quella latina, ognuna delle quali conservò le proprie magistrature tradizionali: il qadi gli Arabi, gli arconti i Greci, i giudici (iudices) i Latini.
Capitale del regno dal 1130, Palermo nei secoli 12° e 13° era divenuta un fiorentissimo centro di commerci e industrie. Le stoffe pregiate, in particolare quelle in seta e oro tessute dagli artigiani arabi e greci nella manifattura di corte, erano famose e ricercate in tutta Europa. Con la morte di Guglielmo II ebbe fine la dinastia normanna.
Dopo un breve periodo di incertezza politica, nella prima metà del 13° secolo gli succedette Federico II di Svevia, sotto il quale Palermo conobbe uno dei periodi più felici della sua storia. Favorita nei suoi traffici commerciali, la città divenne uno dei maggiori centri della vita intellettuale europea. Alla corte di Federico II, raffinato e intelligente cultore di scienze e letteratura, convenivano trovatori e cavalieri, studiosi di filosofia e di scienza; qui nacque la famosa scuola poetica siciliana in lingua volgare.
Angioini e Aragonesi
Col passaggio agli Angioini, nel 1266, il centro di gravità del regno si spostò definitivamente nel continente e Napoli tolse a Palermo il ruolo di capitale. Contro questa decisione e contro la «mala signoria» di Carlo II Palermo insorse il 31 marzo 1282 con la famosa rivolta dei Vespri siciliani: costituitasi in Comune, la città si consegnò poi agli Aragonesi, assicurando loro il dominio della Sicilia. Le famiglie nobiliari conservarono però un forte potere politico.
Quando la Sicilia nel 1412 fu annessa da Ferdinando I alla Corona d’Aragona, Palermo rimase il centro burocratico e amministrativo dell’isola, si arricchì di fastosi edifici pubblici e privati ma perdette la sua vitalità economica diventando una specie di ‘parassita’ delle altre province siciliane. Il malcontento popolare nei confronti del dominio spagnolo e del potere baronale esplose nel 1647, con una sommossa capeggiata dal battiloro (artigiano dei metalli preziosi) Giuseppe d’Alessi.
Dai Borbone all’annessione al Regno d’Italia.
Dopo un breve dominio sabaudo (1711-18) e poi austriaco, nel 1736 la Sicilia passò ai Borbone. Il forte sentimento indipendentista, mai sopito, portò la popolazione ad accogliere con entusiasmo la corte borbonica in fuga da Napoli davanti ai Francesi (nel 1799 e 1806), ma la soppressione nel 1816 della Costituzione concessa alla Sicilia quattro anni prima declassò nuovamente Palermo a città di provincia, suscitando una violenta reazione antiborbonica nel 1820 e nel 1848 (Sicilia, Regno di).
Nel 1860 il moto palermitano guidato dal mazziniano Rosolino Pilo fu represso nel sangue, ma diede avvio alle ribellioni che sfociarono nella vittoriosa spedizione dei Mille: dopo aver sconfitto i Borbone a Calatafimi Garibaldi mosse alla conquista di Palermo, riuscendo a sgominare con un abile stratagemma l’imponente esercito borbonico. Dopo l’annessione al Regno d’Italia, nel 1866 la nobiltà filoborbonica e i repubblicani autonomisti fomentarono una rivolta popolare che costrinse le autorità ad asserragliarsi negli edifici pubblici, mentre gli insorti si impadronivano temporaneamente della città.
Patrimonio storico-artistico
Dell’epoca punico-romana, e soprattutto della dominazione araba e bizantina, non rimane quasi traccia a Palermo. I monumenti più importanti risalgono al periodo normanno e costituiscono un insieme di eccezionale valore artistico per la peculiare fusione di elementi bizantini, arabi e latini. L’edificio più antico è S. Giovanni dei Lebbrosi, risalente al 1071. Dell’epoca di Ruggero II restano il Palazzo Reale, edificato su un palazzo degli emiri arabi, al cui centro sorge la Cappella Palatina (1132-40), rivestita di lastre marmoree e di bellissimi mosaici bizantini. Al 1178 risale la chiesa del Vespro, così chiamata dalla rivolta dei Vespri, che da qui prese il via. Altri edifici dell’epoca normanna sono la Zisa (dall’arabo aziz, che significa «la splendida»), un castello costruito da Guglielmo I, e la Cuba, costruita da Guglielmo II, che abbellivano l’immenso parco reale.
Una commistione di elementi tipici dell’architettura normanna e di elementi gotici caratterizza gli edifici dei secoli successivi: tra i più notevoli meritano un cenno il Palazzo Chiaramonte, detto lo Steri, iniziato nel 1307, e il Palazzo Sclafani, costruito nel 1330. Sarà però l’architettura barocca, con le numerose chiese e i bellissimi palazzi edificati tra il 17° e il 18° secolo, a dare alla fisionomia di Palermo l’impronta più caratteristica. Molti dei palazzi barocchi sparsi in tutta la città sono stati danneggiati dai bombardamenti dell’ultima guerra, e così pure le chiese, sfarzosamente decorate con intarsi marmorei.
Al centro della parte vecchia della città si trova piazza Vigliena, detta dei Quattro Canti, perché ricavata smussando gli angoli dei quattro palazzi secenteschi all’incrocio tra le due strade principali, via Maqueda e il corso Vittorio Emanuele (in passato Cassero). Tra le chiese più importanti ricordiamo S. Domenico, S. Giuseppe dei Teatini e S. Lorenzo, il cui oratorio ospitava la Natività di Caravaggio, rubata nel 1969.
Fonte: Treccani.it
Itinerario Arabo Normanno
Palermo segna una data importante nel calendario infatti il 3 luglio 2017 a Bonn il Comitato del Patrimonio Mondiale dell\\\’Unesco ha dichiarato l\\\’itinerario Arabo Normanno \\\”Patrimonio Mondiale dell\\\’Umanità\\\” inserendolo quindi di diritto nella World Heritage List.
Lo stile Arabo-Normanno è unico nel suo genere ed esclusivo di Palermo, Cefalù e Monreale e si caratterizza per l\\\’unione di due mondi opposti: quello arabo – musulmano e quello normanno – cattolico.
I due secoli e mezzo di dominazione araba (dall\\\’827 alla fine del XI secolo) resero la città una tra le più ricche ed importanti dell\\\’epoca: splendidi palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane vengono eretti.
Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all\\\’epoca musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono, infatti, con l\\\’arrivo dei Normanni, che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne l\\\’antica funzione.
I Normanni decidono di emulare il grande sfarzo degli arabi e riconoscono alle maestranze musulmane una notevole bravura: da questo connubio nasce, appunto, lo stile arabo-normanno.
Gli elementi tipici di questo stile per le chiese e le costruzioni civili sono: pianta basilicale a croce latina o greca, torri e portale sulla facciata, coro spesso sormontato da cupole, abbelliti da mosaici bizantini realizzati da artisti greci e da ornamenti arabi (archi a ferro di cavallo, decorazione fatta di arabeschi etc.); i palazzi sono immersi in grandi parchi con distese d\\\’acqua e provviste, nel loro interno, di due caratteristiche aree: l\\\’iwan (sala a tre esedre) e il cortile all\\\’aperto, circondato da portici e abbellito da una o più fontane, decorati da pavimenti marmorei o costituiti da mattoni disposti a spina di pesce, pareti ricoperte da mosaici con motivi arabizzanti e infine soffitti ed archi adorni di muqarnas (decorazione ad alveoli o a stalattiti) scolpiti e dipinti.
I monumenti in stile Arabo Normanno che fanno parte dell\\\’itinerario Patrimonio dell\\\’Unesco sono:
Palazzo Reale o dei Normanni, Cappella Palatina, Cattedrale, Chiesa di San Giovanni degli Eremiti, Chiesa di Santa Maria dell\\\’Ammiraglio o della Martorana, Chiesa di San Cataldo, Castello della Zisa, Ponte dell\\\’Ammiraglio.
A Monreale: Duomo e Chiostro.
A Cefalù: Cattedrale e Chiostro.
Fonte: Comune di Palermo
Gli ebrei a Palermo
Gli ebrei, a Palermo, e per diversi secoli, risiedevano in una zona fuori delle mura della città a cui si accedeva dalla Porta Giudaica, e nel periodo di maggiore fulgore, in tempo di pace, il quartiere brulicava di migliaia di persone, divisi in tre grossi raggruppamenti , tra poveri, meno poveri e ricchi, ma tutti operosi ed importanti per l\\\’economia della città. Essi si dedicavano molto alla lavorazione dei metalli, quindi era importante stare in luoghi acquitrinosi, dove potere temprare i loro manufatti. Il \\\”giardinaccio\\\” a ridosso delle mura meridionali e nei pressi del \\\”fiume del maltempo\\\” si presentava come luogo adatto dove costruire la loro Sinagoga, la loro \\\”Meschita\\\”, la loro \\\”Guzzetta\\\”. Una buona idea, di qualche uomo di cultura illuminato, ha fatto si che oggi le strade che una volta furono ebree, siano indicate con targhe trilingue, italiano, arabo ed ebreo, così che un qualsiasi turista può capire che si trova nel quartiere che sino al 1492 fu abitato da ebrei. Un Concilio, il IV Lateranense ed una bolla di Paolo IV pose fine a questa interessante storia, perchè pur tra alti e bassi i \\\”perfidi giudei\\\” anche se \\\”segnati\\\” ( con pezzi di stoffa e simboli di vario colore) erano stati sempre accettati dal popolo siciliano. Durante il periodo musulmano c\\\’era da pagare la \\\”gizia\\\” per professare il proprio culto, con Federico II furono diversi i momenti a seconda del rapporto tra il Papa e l\\\’Imperatore, ma nell\\\’insieme gli ebrei, in Sicilia, prosperavano.
Fu la loro ricchezza, probabilmente, motivo di rovina, ma, nel 1492 a Palermo e dintorni dovettero vendere e lasciare tutto. Ne approfittarono i notai del tempo, qualche nobile e qualche Congregazione che cercava spazio per costruire i loro luoghi di culto; Benedettine, Agostiniani riformati, Carmelitani, etc.
Della loro cultura ai siciliani è rimasto tanto, e tantissimo si è disperso. Nel cuore del loro quartiere oggi sorge la Chiesa di San Nicolò da Tolentino e l\\\’Archivio Comunale con la bellissima architettura progettata da Damiani Almejda, che nel disegnare il prospetto si rifece, un pò, alle sinagoghe del suo tempo. Questa costruzione si trova in Piazza della Meschita all\\\’interno della parte centrale dell\\\’ebraico quartiere, dove probabilmente vivevano i maggiorenti e coloro che lavoravano con il fuoco e con l\\\’acqua.
Poco distante, nella zona di pertinenza della Casa Professa dei Gesuiti, ancora si può trovare il Miqveh che per la religione ebrea era obbligatorio nei pressi delle case, per i bagni usuali di rito. Era necessaria acqua pura, cioè filtrata naturalmente, e nei pressi passava il Kemonia, che permetteva tutto questo. Sono rimasti nella nostra cultura molti piatti, sopratutto di carne (pane con milza), e un taglio di carne particolare detto \\\”judisco\\\” o giudisco. Sono attorno a noi, ancora oggi, famiglie che si chiamano Lo Presti, Sala, Scimeca etc., conosciamo tutti l\\\’arco della Meschita, la via della Giudecca, la Portella dei Giudei etc. Nonostante il passare e il logorio del tempo dopo più di 500 anni continuano a sopravvivere in Via dei Calderai, antichi mestieri che gli ebrei praticavano negli stessi luoghi. La costruzione di una Giudecca non poteva prescindere dalla vicinanza dell\\\’acqua, dalla possibilità di costruire nel centro la Sinagoga, dalla possibile vicinanza, anche se fuori della giudecca, del cimitero, dal potere disporre di un proprio macello, che nel nostro caso era situato nell\\\’area dove poi sorse il Teatro Santa Cecilia, mentre il cimitero era situato fuori l\\\’ex Porta di Termini. Il Kemonia e le sue inondazioni fu per questa gente motivo di ricchezza, il fiume detto del maltempo, che attraversava il loro quartiere e lambiva le loro case, oltre a \\\”purificarli\\\” raffreddava i loro metalli e li temprava, era motivo di lavoro e di incontri, ma ha anche visto tante lacrime e tanti addii in quel 1492, anno di espulsione dei giudei dalla Sicilia.
Fonte: Cittametropolitana.pa.it
Foto di Vincenzo Russo e Rosalia Ceruso